Così sul «Corriere dei Piccoli» Rodari, il 22 ottobre 1967, pubblica una giocosa intervista al voto: Domanda. Buongiorno, signor Voto. Avendo appreso che è tornato a scuola anche lei, abbiamo pensato di rivolgerle alcune domande. Lei si ritiene veramente importante nella vita di un ragazzo? |
non voglio darmi delle arie. So che incremento il consumo delle matite rosse e blu, che molti insegnanti mi tengono segreto come un messaggio dell’agente 007, che il mio prestigio nei registri è altissimo, ma sono anche il primo a sapere che è difficile misurare un ragazzo in cifre. I voti non sono pesi da farmacista che spaccano il milligrammo: sono approssimazioni. D. – Allora, secondo lei, un brutto voto non sarebbe un voto brutto? R.- Non mi fraintenda. Dico che Carletto può essere un ottimo ragazzo anche se gli capita di prendere un quattro in italiano. Marconi fu bocciato due volte alla licenza tecnica, non poté nemmeno iscriversi all’università, e poi inventò la radio, lasciando i suoi brutti voti di princisbecco: lo so di sicuro perché uno dei suoi quattro era un po’ mio parente. Giovanni Pascoli, agli esami di ginnasio, prese quattro in matematica, e altri pessimi voti in altre materie scientifiche: oggi è materia di studio anche lui. Non parliamo del solito Verdi, che fu bocciato al conservatorio di musica. Più di un genio, a scuola, prendeva brutti voti: vuol dire che non si era ancora rivelato, ecco tutto. C’è chi matura prima e chi dopo. Un brutto voto è un nemico che si può battere, non è un’eruzione del Vesuvio, di fronte alla quale non rimane che scappare. D. – Esiste una scienza per dare sempre voti giusti, senza sbagliare? R. – Esiste, e ha un nome difficilissimo: si chiama “docimologia”. Ben pochi la conoscono, e del resto non è una scienza indispensabile. Esistono invece scuole dove i voti se li danno maestri e ragazzi insieme, discutendone le ragioni. Esistono scuole dove i voti sono aboliti… |