Coordinamento Genitori Modena

“Cari ragazzi, diteci come possiamo ricostruire il futuro”

“Care ragazze, cari ragazzi, in questo difficile momento è molto importante che ognuno di noi si assuma nuove responsabilità, per sé, per gli altri, per tutta la comunità”. Inizia così una lunga e bella lettera aperta che lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, presidente della Fondazione Minotuauro di Milano e docente all’università “Bicocca” ha deciso di inviare agli adolescenti italiani.

Una lettera che a tre settimane dall’inizio della quarantena si rivolge alla generazione dei teenager. Accusati, nei primi giorni, di essere tanto egoisti da andarsene in giro, rischiando di portare il virus nelle case e nelle famiglie mettendo a rischio di vita i loro stessi nonni. E invece, oggi, quei ragazzini cresciuti nel benessere e nella pace, alla loro prima prova “di guerra”, stanno mostrandosi responsabili e sensibili.

Una lettera, spiega Lancini, in realtà “rivolta a noi adulti, una riflessione sul modo in cui abbiamo cresciuto questa generazione, un appello perché, oggi, le generazioni trovino un ponte per parlarsi davanti a questa enorme difficoltà collettiva”. “Prima di tutto  –  scrive Matteo Lancini – vorrei chiedervi scusa per questa faccenda dei nonni. Forse troppi di noi non vi conoscono e parlano ai giovani sulla base della propria esperienza individuale, ma chi come me vi incontra da decenni sa quanto siate loro legati. So che molti di voi hanno deciso, o hanno in programma, di tatuarsi sulla pelle, per sempre, la data di nascita o della morte di chi vi ha cresciuto, mentre vostra madre e vostro padre lavoravano. La morte del nonno o della nonna è per molti di voi una enorme sofferenza, un dolore che cambia la vita. Accusarvi di non essere in grado di farvi carico della loro salute è ingiusto, ingiustificato, forse ingiustificabile”.

“Vi abbiamo rubato il futuro”

Poi Matteo Lancini, il cui nuovo libro si chiama, appunto, “Cosa serve ai nostri ragazzi. I nuovi adolescenti spiegati ai genitori, agli insegnanti, agli adulti (Utet)” si rivolge ai  “grandi”,  alle madri, ai padri, ma anche alla società del marketing. “Noi adulti facciamo in fretta ad accusare. Proprio noi, che in questi ultimi anni non siamo stati in grado di assumerci la responsabilità di garantire a voi giovani, e probabilmente anche ai vostri figli, un presente stabile e un futuro non troppo fosco. Perché una grande crisi di valori ci ha portato a privilegiare il profitto, l’individualismo, l’audience, a concentrarci su un’etica affettiva valida solo per la nostra famiglia, per il nostro caro piccolo nucleo. Progressivamente ci siamo disinteressati degli altri, anche dei figli degli altri, se non come soggetti che vi avrebbero invitati alle loro festine di compleanno, utili solo a non farvi sentire soli, esclusi”.

“Le nostre paure vi hanno resi fragili”

“Abbiamo così contribuito, anche se con tutte le buone intenzioni, a rendervi fragili e a non farvi comprendere l’importanza della solidarietà, in primis per voi stessi, oltre che per gli altri. Chi se lo poteva permettere, poi, vi ha portato in giro per il mondo e pagato biglietti aerei e vacanze studio, spingendovi a viaggiare ma sempre con il “cercapersona”, detto anche cellulare, in tasca e sotto il controllo degli adulti. Nessuna esperienza di vera autonomia perché, in realtà, eravamo abitati da paure e paranoie su cosa vi sarebbe accaduto fuori casa, nel mondo pericoloso”

“L’affissione della scritta “vietato il giuoco del pallone” nelle piazze, la trasformazione dei cortili in box per auto, lnon è stata una vostra iniziativa, né degli influencer dei social e neanche dell’inventore di “Fortnite”. Sono stati provvedimenti di responsabilità adulta, per proteggervi dai malintenzionati e per non vedervi tornare a casa con sbucciature sulle ginocchia, per noi diventate fonte di sofferenza intollerabile”.

“E così voi, così propensi a darci fiducia, ad ascoltare i nostri consigli e a prendervi carico delle nostre preoccupazioni, avete sostituito le strade dove noi abbiamo passato i pomeriggi della nostra infanzia con le piazze virtuali. Vi siete sfidati in battaglie molto meno violente nelle conseguenze reali, perché virtuali appunto, di quelle che combattevamo noi con fionde e pallonate in faccia. All’epoca, sapete, le ferite del corpo dei figli erano meglio tollerate, al punto da essere all’ordine del giorno”.

“Oggi diciamo grazie al vostro mondo digitale”

“Eppure, neanche il vostro confinamento nel virtuale ci è sembrato sicuro. Sempre in nome della nostra responsabilità adulta, vi abbiamo detto che questo vostro comportamento era da considerarsi esagerato, sconsiderato, che il vostro uso di internet, smartphone, videogiochi e social network era smodato, anzi era diventato una dipendenza. Il vostro utilizzo, non il nostro, badate bene”.

“Noi, che avevamo iniziato a fotografarvi ancora prima della vostra nascita il giorno dell’ecografia morfologica, per poi proseguire con centinaia di foto. Noi che abbiamo usato il cellulare per fare il video del giorno della recita dell’asilo, del primo bagno al mare senza braccioli, della prima volta in un campo sportivo. Noi, che siamo stati così contenti di metterci tutti quanti online, su Whatsapp, sui social network, tutti a riprendere il piatto di pastasciutta o la propria partecipazione alla sagra della salamella. Noi, in modo ipocrita e irresponsabile, abbiamo riversato su di voi i nostri dubbi sul tipo di società che avevamo creato e abbiamo deciso che eravate voi a dovere, per il vostro bene, limitarvi nell’utilizzo dello smartphone e dei videogiochi”.

“Ora che è arrivata l’emergenza di questo virus, abbiamo capito che molte opportunità, e anche qualche speranza, derivano proprio dall’utilizzo di internet. E siete stati proprio voi, nelle primissime fasi di chiusura delle scuole, con responsabilità e senso etico a chiamare molti docenti e spiegare loro come fare. In alcuni casi avete trasformato chat di battaglie in rete, in chat di classe amministrate dall’insegnante di turno, in attesa che le scuole e le organizzazioni adulte si attrezzassero”.

“E guardate un po’: quando abbiamo visto alcuni di voi, prima dell’ordinanza più restrittiva di sabato 8 marzo, cercare conforto nell’incontrarvi in gruppo all’aperto, abbiamo iniziato a formulare ipotesi sulla vostra irresponsabilità. Prima, a casa, eravate irresponsabili utilizzatori di Internet, ora, improvvisamente, tutti fuori casa, a fare gli irresponsabili untori della salute dei vostri nonni. Invece di divertirvi in giro per la città potevate almeno assalire i supermarket oppure scapicollarvi verso una stazione ferroviaria per prendere un treno che vi portasse nel vostro luogo di origine o a risiedere nella vostra seconda casa al mare o in montagna, come abbiamo fatto noi”.

“Adesso cari ragazzi aiutateci a costruire una società migliore”

“Ora che le direttive sono più chiare e che le nostre città sono sempre più deserte, vi chiediamo di aiutarci responsabilmente a gestire questo momento di enorme difficoltà e, una volta superato, di aiutarci a costruire e consegnarvi un futuro migliore. Aiutateci a capire cosa vi serve davvero, dateci consigli su come migliorare la scuola e su come costruire una società meno individualista e meno dipendente da internet. Insieme possiamo farcela a consegnarvi un futuro ambientale e relazionale migliore di quello presente. È possibile, anzi probabile, che voi siate in grado di gestire il pianeta e l’umanità in modo più responsabile e autorevole di quanto siamo riusciti a fare noi”.

Fonte: LaRepubblica
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