Sette e Mezzo è la rubrica di Lilli Gruber sul magazine 7. Ogni sette giorni sette mezze verità. Risposte alle vostre domande sull’attualità, il mondo, la politica. Questa puntata è uscita sul numero di 7 in edicola venerdì 28 aprile ed è collegata all’inchiesta di 7 sul male di vivere dei giovani (che trovate nel link del Leggi anche). La proponiamo online per i lettori di Corriere.it
Cara Lilli,
sono la mamma di una ragazza che frequenta uno dei licei occupati per protestare contro la continua ansia da prestazione a cui sono sottoposti i ragazzi. Da genitore, le confesso, all’inizio la pensavo diversamente. Poi però mi sono accorta dell’ansia che affligge lei, i suoi compagni e i suoi coetanei. È vero ai nostri tempi era diverso, forse eravamo più disciplinati, sapevamo che la possibilità di studiare non era scontata, ma dobbiamo tenere conto di questo malessere. Sono preoccupata.
Maria Chiara
Cara Maria Chiara,
accolgo la sua preoccupazione che condivido. Anch’io d’istinto e per l’educazione ricevuta sprono sempre le giovani generazioni a darsi da fare. E penso che, dove non c’è impegno nello studio e grinta nel lavoro, la colpa ricada anche sui genitori, mossi da una mania a viziare i propri figli, dare loro di tutto e di più, non indicare la via stimolante – seppur faticosa – del sacrificio per ottenere dei risultati. Ma di fronte al fenomeno certificato dell’aumento esponenziale di stati d’ansia e di casi anche letali di autolesionismo della Generazione Z (i nati tra il 1996 e il 2012), urge capire. Come è stato fatto nelle sei puntate dell’inchiesta di 7 sul malessere dei giovani.
Ricordo nel recente passato la stigmatizzazione dei giovani in «bamboccioni» (Padoa-Schioppa), «choosy» (Fornero, traducibile in incontentabile o schizzinoso) e «sdraiati» (Michele Serra scrisse un bel libro sul tema). Allora non era ancora arrivato quell’evento dopo il quale nulla sarebbe stato come prima, specie per i nostri ragazzi, cioè il Covid: la scuola a distanza, la reclusione in casa nella propria bolla di internet, il mondo delle relazioni sospeso, col risultato terribile di perdere il treno dello studio, rimanere indietro non solo coi programmi, ma con la vita stessa. Riemergi dalla pandemia e trovi davanti alla luce fioca del tunnel una guerra. Inflazione, prezzi impazziti, precarietà strutturale, mutui inaccessibili.
LA PSICOTERAPIA, LA SCUOLA E L’UNIVERSITÀ, I SOCIAL MEDIA, LA FAMIGLIA: QUATTRO I CAMPI D’AZIONE POSSIBILE ANALIZZATI NELL’INCHIESTA DI 7 (IN SEI PUNTATE) ATTORNO AL GORGO DI SENSO E SOGNI CHE STA CONSUMANDO LE ENERGIE DI CHI DOVREBBE INVECE SPINGERE LA SOCIETÀ: I GIOVANI
Questa è la cornice entro cui collocare la stanchezza ansiosa che lamentano e vivono sempre più gli studenti. Ne fece annuncio Emma Ruzzon (Presidente degli Studenti di Padova), che additò il sistema merito-centrico fondato a sua detta su una perversa condizione, «la sensazione e la percezione che se non si è tra i migliori non si avrà una vita decente». Insomma, la causa starebbe per Ruzzon in una competizione tossica che lascia alle spalle vittime innocenti (leggi suicidi), cioè quelli che non ce la fanno. In verità, sono diversi decenni che sentiamo la sirena d’allarme delle nuove generazioni impaurite dal proprio avvenire.
Ennio Flaiano scriveva: «Ha una tale sfiducia nel futuro che fa i suoi progetti per il passato». Ma lo scarto questa volta ha preso le sembianze di una malattia, il futuro è una patologia non una possibilità, è l’inferno della propria fallimentare resa a priori. Che fare? Invece di dare degli sfaticati e dei viziati ai nostri figli, è ora di capire che noi adulti siamo credibili solo dando il buon esempio, e che sedersi accanto a loro e provare ad ascoltarli davvero può fare miracoli. È come una carezza, indispensabile per sostenere la pur sempre agonistica lotta della vita, senza generare ragazzini insicuri perché hanno tutto talmente a portata di mano che non sanno più allungare il braccio.